“Appare sempre più evidente la necessità di una riorganizzazione della rete ospedaliera” nell’area di Spoleto e Foligno “al fine di garantire i livelli essenziali di assistenza in sicurezza”. A tal proposito il gruppo di lavoro entro la fine di luglio terminerà la parte tecnica di proposta di integrazione al fine di consentire alla Regione di fare le scelte programmatiche necessarie.
E’ quanto emerge da un report dettagliato sugli interventi eseguiti all’ospedale “San Matteo degli Infermi” di Spoleto dalla Direzione strategica dell’Azienda Usl Umbria 2 su mandato della Direzione regionale Salute e Welfare e sulle linee programmatiche per la realizzazione del percorso di integrazione dei presidi ospedalieri di Foligno e Spoleto.
Il “San Matteo degli Infermi” serve una popolazione residente di 61.895 abitanti. E’ classificato come presidio ospedaliero di I livello e sede di Dipartimento di emergenza accettazione (Dea) di I livello. Come tale dovrebbe, a norma del Dm 70/2015, servire un bacino di utenza compreso tra 150.000 e 300.000 abitanti ed essere dotato di una serie di specialità, alcune delle quali nel 2020, prima della conversione ad ospedale Covid, non erano comunque state attivate (Neurologia, Psichiatria, eccetera.).
Per le attività di Emergenza-Urgenza, la struttura sede di Dea di I Livello deve servire il bacino di utenza di competenza e deve avere un numero di accessi annui appropriati superiore a 45.000.
L’attività del Dea di Spoleto era di molto inferiore ai 45.000 accessi, circa 24.500, tendenza che viene confermata anche nel 2022. Dal 10 giugno 2021, con l’esaurimento dei ricoveri per patologia Covid e con il termine dei lavori necessari per il ripristino delle aree utilizzate durante la fase di trasformazione in ospedale Covid della struttura, si sono riattivati: la Terapia intensiva; la Chirurgia multidisciplinare; l’Ortopedia; la Ginecologia-Ostetricia; la Medicina interna. È inoltre attivo un posto letto di Day hospital Covid per la somministrazione degli anticorpi monoclonali). A questi posti letto vanno comunque aggiunti quelli riferiti alla Rsa, presente nella struttura, per un totale di 107 posti letto complessivi. La messa in sicurezza per l’utilizzo dello stesso quale presidio Covid ha comportato alcuni lavori strutturali per spogliatoi, docce e altro, che hanno determinato una riduzione degli spazi disponibili per l’assistenza.
Per quanto concerne le aree dei servizi senza posti letto (Dialisi, Laboratorio Analisi, Radiologia, Radioterapia e ambulatori specialistici ospedalieri), tutti sono stati riattivati in sede, mentre i servizi territoriali ed il centro prelievi sono stati trasferiti alla sede di via Manna. Sono state sempre mantenute tutte le attività di screening. Le specialità non ancora riattivate al 30 giugno 2022, come dotazione di posti letto, presso l’ospedale di Spoleto dopo la riconversione da ospedale Covid, sono: Cardiologia -Utic, Punto Nascita e Pediatria.
Per la Cardiologia e la Pediatria, la criticità è rappresentata dalla carenza di personale medico, a livello nazionale e locale, con bandi di reclutamento che finiscono deserti o quasi. I posti letto attivati ad oggi (esclusi gli otto posti letto Covid) sono quindi in totale 99 e 26 quelli da attivare.
Nel report si evidenzia che “l’integrazione degli ospedali Dea I livello di Spoleto-Foligno dovrà avere come punto di partenza la consapevolezza che tali due strutture, separate da 20 chilometri circa, sono parte di un unico Presidio funzionale sede di Dea primo livello in cui le attività in esso previste, dal Dm 70/2015, dovranno essere razionalmente distribuite all’interno dello stesso presidio unico con modelli organizzativi funzionali, razionali e sostenibili secondo il principio di organizzazione dipartimentale e che abbia come fine ultimo la garanzia, principale, di prestazioni di qualità valutabile sulla base dei dati di esito, e di professionalizzazione (e sua valutazione e riconoscimento) del personale quale presupposto per una maggiore attrattività. L’esperienza Covid ha già rappresentato un importante viatico per un cambio culturale in tal senso. Principio cardine dell’integrazione dovrà essere il passaggio, pertanto, da un clima di competitività ad uno basato sulle sinergie di intenti e al superamento della cultura dell’appartenenza al singolo ospedale o alla singola struttura, cosa ben presente al personale, verso una visione di appartenenza ad una rete funzionale e di servizio per l’intero territorio (e per l’intera regione).
Questo sarà possibile creando percorsi diagnostico – terapeutici di respiro aziendale e interaziendale con l’Azienda ospedaliera di Terni e la messa in comune di risorse materiali (tecnologie, posti letto, eccetera), non più assegnate in modo specifico ad una struttura ma messe al servizio di tutta la rete.
L’integrazione dovrà perseguire anche l’obiettivo di realizzare livelli assistenziali di qualità in grado di invertire lo stato di attuale importante mobilità passiva convertendola in una capacità di attrazione che non sia intra regionale ma extra regionale”.